ItaliaLa cronaca della catastrofe di un dirigibile
Nella primavera del 1928, un gruppo di esploratori guidati da Umberto Nobile partì alla volta del Polo Nord a bordo del dirigibile Italia. L’obiettivo fu raggiunto, ma sulla via del ritorno l’eroica impresa artica si trasformò in disastro.
Due comandanti
Roald Amundsen e Umberto Nobile erano tanto diversi quanto lo sono il giorno e la notte. Il primo era uno scandinavo riservato, chiuso; aveva già raggiunto entrambi i Poli, non aveva famiglia e preferiva evitare la mondanità e gli affetti personali. L’altro era un italiano allegro, che aveva progettato la prima aeronave ad aver mai raggiunto il Polo Nord. Tenuto in grande considerazione dal partito fascista italiano, aveva l’abitudine di portare con sé la sua cagnetta, una fox terrier di nome Titina, anche nelle imprese più rischiose. Alcuni dicono che prestasse molta attenzione all’umore e al comportamento dell’animale prima della partenza. Nondimeno, vi era una caratteristica che Amundsen e Nobile avevano in comune — entrambi erano grandi sognatori.
I due si incontrarono per la prima volta a Oslo nel luglio 1925. Amundsen aveva invitato l’ingegnere italiano in Norvegia, per proporgli di svolgere insieme una spedizione transartica a bordo del dirigibile N-1, che fu poi ribattezzato Norge. Amundsen garantì che l’Aeroclub di Norvegia avrebbe acquistato l’aeronave e si sarebbe fatto carico di tutte le altre spese. Gli italiani avrebbero provveduto al dirigibile e al suo comandante.
La spedizione restava, quindi, un’iniziativa e una impresa norvegese, anche se era stabilito che tutta la parte aeronautica sarebbe stata preparata in Italia sotto l’esclusiva iniziativa, direzione e responsabilità di Nobile. Umberto Nobile
Nobile fu decisamente lusingato di ricevere una proposta del genere da parte del grande esploratore polare; una stretta di mano suggellò l’accordo. Amundsen, un pioniere ambizioso, non resisteva all’idea di poter mettere fine all’antico dibattito sul fatto che la calotta polare celasse o meno un continente; per questo motivo, continuò a spronare il suo partner italiano. La spedizione mosse verso il Polo Nord il 10 aprile 1926.
In un primo tempo, Amundsen trovò a dir poco oltraggiosa la presenza di un cane a bordo. Alla fine dovette piegarsi al capriccio del suo compagno di viaggio, ma non poté trattenersi dal buttar giù una nota sarcastica nel suo diario: “Le cotolette di cane saranno squisite”. Amundsen si considerava non solo come il capo spedizione, ma anche come il padrone della situazione in generale. In conclusione, però, le sue grandi aspettative restarono deluse: al posto di un misterioso continente, egli vide sotto di sé solo vaste distese d’acque scure e banchi di ghiaccio.
Nel frattempo, il viaggio stesso aveva costituito un’impresa clamorosa. Il Norge aveva volato per 171 ore, di cui 72 attraverso l’Oceano Artico. Era stato così effettuato il primo volo transpolare della storia, dalle Svalbard fino in Alaska. Fu un record assoluto nella storia dell’aeronautica. Quando la spedizione si concluse, il comandante Nobile ebbe tutto il plauso, mentre Amundsen finì col trovarsi ad essere solo un eminente passeggero.
Disastro
Ispirato dal successo del Norge, su cui la stampa mondiale e le autorità italiane avevano riversato enormi lodi (Mussolini lo aveva persino promosso al grado di Generale), Nobile aveva deciso di continuare a costruire sul risultato e aveva iniziato a elaborare piani per un secondo volo verso il Polo Nord, da effettuare con un nuovo dirigibile, l’N-4. Com’era logico attendersi, esso fu chiamato Italia.
L’Italia era pronto a entrare in azione nella primavera 1928. Papa Pio XI benedisse l’impresa. Egli consegnò a Nobile una grande croce di quercia perché la portasse al Polo Nord. “E come tutte le croci”, avvertì il Papa, “sarà pesante da portare”.
La spedizione partì da Milano il 15 aprile 1928. Nobile, per la prima volta, ignorò un presagio di Titina. L’amata cagnetta resistette all’imbarco con tutte le sue forze, così l’esploratore dovette prenderla in braccio per portarla a bordo.
Il viaggio dell’Italia iniziò male fin dalle primissime ore. Danneggiatosi nell’attraversare una tempesta sui Carpazi, il dirigibile dovette fare scalo a Stolp, località allora in Germania (l’odierna Slupsk, in Polonia). A causa delle riparazioni e del ritardo di arrivo della “Città di Milano” — la nave appoggio cui era demandato il contatto radio — l’Italia ripartì solo il 3 maggio. Anche l’ormeggio in Finlandia dovette essere effettuato con il cattivo tempo. Fortunatamente, tutto andò bene.
Sorvolando Stoccolma, l’Italia discese alla quota minima possibile, per consentire a uno dei membri dell’equipaggio, Finn Malmgren, di lasciar cadere un biglietto indirizzato a sua madre.
L’8 maggio, il dirigibile arrivò alla Kings Bay, sull’isola di Spitsbergen, dove l’equipaggio scese immediatamente a prepararsi per i voli di esplorazione.
Il dirigibile aveva un equipaggio di 13 persone, di cui sette avevano partecipato precedentemente all’impresa del Norge. A seguito delle pressanti richieste del consiglio degli industriali milanesi, che aveva finanziato la spedizione, era stato permesso a due giornalisti di partecipare, alternandosi, ai voli del dirigibile. In totale, contando anche i tre scienziati presenti, erano 18 i partecipanti alla missione.
Due anni prima il Norge aveva dimostrato al mondo intero che i dirigibili erano già affidabili nell’Artico. Questa volta, lo scopo non era solo raggiungere il Polo, ma anche condurre studi che producessero risultati scientifici. Una volta arrivati al Polo, alcuni ricercatori, dotati dell’equipaggiamento appropriato, avrebbero avuto il compito di scendere sulla superficie per qualche tempo, allo scopo di misurare il magnetismo terrestre, la forza di gravità e la profondità dell’oceano.
11 Maggio
Il primo viaggio avrebbe dovuto svolgersi attraverso un’area precedentemente inesplorata a nord-est della Terra di Francesco Giuseppe. Tuttavia, il maltempo e alcune difficoltà sopravvenute con un meccanismo di manovra fecero sì che il dirigibile dovesse tornare indietro. Il volo durò non più di otto ore.
15 Maggio
Il secondo volo si svolse in condizioni non certamente migliori, ma ebbe maggior successo. L’Italia rimase in volo tre giorni interi, tempo durante il quale percorse 4.000 km esplorando un’area di circa 50.000 kmq.
Uno dei risultati della spedizione fu quello di smentire i racconti favolosi circa la Terra di Gillis, che sarebbe stata scoperta nel 1707 da un capitano olandese portatosi un grado di latitudine più a nord delle Svalbard. Nobile e il suo equipaggio esplorarono accuratamente la zona in cui avrebbe dovuto trovarsi il leggendario arcipelago, senza individuare nulla.
Un accurato lavoro di preparazione fu intrapreso per un terzo, ultimo viaggio. Vennero previsti gli scenari più sfavorevoli, compreso quello di un atterraggio forzato sui ghiacci. I membri della spedizione avrebbero esplorato diverse zone non cartografate ad ovest delle Svalbard e un’area sconosciuta a nord della Groenlandia.
04:28 | 23 Maggio
L’Italia partì per il suo ultimo viaggio.
17:00
L’aeronave raggiunse le coste della Groenlandia. Per 30 minuti procedette seguendole, mentre i partecipanti alla spedizione effettuavano ricerche e scattavano fotografie.
00:00 | 24 Maggio
A mezzanotte e venti, l’Italia raggiunse il Polo Nord, grazie al vento in coda. Nobile, trionfalmente, adempì alla promessa che aveva fatto al Papa — la croce e la bandiera italiana furono lasciate cadere sui ghiacci. I partecipanti alla spedizione mandarono molti messaggi radio di auguri e dettero fondo a una bottiglia di cognac per celebrare l’occasione. Il vento e la nebbia, però, impedirono la discesa al di sotto dei 150 m dalla superficie. L’idea dello sbarco sui ghiacci del Polo Nord fu perciò abbandonata.
02:20 | 24 Maggio
Nobile era consapevole che sulla via del ritorno alla Kings Bay il vento avrebbe ostacolato la marcia. Ad un certo punto, prese in considerazione l’eventualità di puntare verso il Canada, avvalendosi ancora del vento in coda. Cionondimeno, Malmgren lo convinse a procedere diversamente. Nelle dieci ore in cui sarebbero stati in volo, fece presente l’esploratore svedese, il vento sarebbe potuto cambiare diverse volte. Inoltre, l’atterraggio su un campo non attrezzato avrebbe potuto avere esito incerto. Nobile concordò e dette ordine di tornare alla base.
La spedizione abbandonò il Polo Nord avviandosi lungo il 25° meridiano est, a una quota di 1.000 m. Tuttavia, per effetto del vento che aumentava, il dirigibile iniziò a deviare verso est. Nel giro di solo un paio d’ore, era già fuori rotta di almeno cinque gradi.
16:00 | 24 Maggio
La giovialità e l’allegria di poche ore prime avevano lasciato il posto, nell’equipaggio, al silenzio, alla concentrazione e all’attenzione. Di tanto in tanto si sentivano forti rumori, quando frammenti di ghiaccio, cadendo dalla carena sulle eliche, venivano scagliati contro il dirigibile. In alcuni casi le tele subivano piccoli danni, ma tutte le perforazioni erano prontamente individuate e riparate.
18:00
I venti si intensificavano fino a circa 50 km/h. Contrariamente alle previsioni di Malmgren, i venti meridionali non mostrarono alcun segno di ruotare in direzione sud. Il dirigibile si copriva sempre più di ghiaccio.
21:45
Nobile ordinò l’avviamento del terzo motore. La velocità all’aria aumentò fino ad oltre 100 km/h, ma, costretta a combattere contro un forte vento di prua, l’Italia si muoveva con lentezza. Fra le principali preoccupazioni del comandante vi erano il grande consumo di combustibile e l’eccessivo sforzo strutturale cui il dirigibile era sottoposto. Intorno alle tre del mattino uno dei motori venne fermato.
04:25 | 25 Maggio
Il dirigibile scarrocciava fuori rotta. Uscire al più presto dalla perturbazione era diventata questione di vita o di morte. Dopo aver stimato la distanza che restava da coprire, Nobile ordinò di riavviare il terzo motore.
09:25 | 25 Maggio
Il timone di quota si bloccò. Felice Trojani, che era di turno in quel momento, cercò di riportare il dirigibile in assetto livellato ma non vi riuscì. L’Italia continuava a scendere rapidamente. Nobile fece fermare tutti i motori. Senza chiedere il permesso, uno degli ufficiali gettò fuori bordo taniche di benzina; misura che si rivelò tuttavia di scarsa efficacia. L’accumulo di ghiaccio aveva reso il dirigibile troppo pesante, in modo tale da rendere ininfluente il rilascio di una zavorra tanto piccola.
10:00
Apparentemente la situazione era migliorata. L’Italia risalì a 900 m. Il capotecnico Natale Cecioni aveva smontato e poi rimontato il meccanismo del timone di quota, ma non era riuscito a determinare la causa dell’inceppamento. Due motori, quello centrale e quello di destra, erano stati rimessi in moto. L’Italia risalì a 1.500 m.
10:30
Cecioni avvertì che il dirigibile era diventato pesante. La parte posteriore iniziò a sprofondare e l’Italia cominciò a perdere quota. Nobile ordinò ai suoi uomini di portare i due motori funzionanti al massimo e di rimettere in moto anche il terzo. Questo ebbe il solo effetto di incrementare la discesa. Da quel momento non vi fu alcun modo di fermare la caduta. Nobile si rese conto che un incidente sarebbe stato inevitabile.
I massi di ghiaccio, frastagliati, erano sempre più vicini; ormai pochi metri fuori dalla cabina. Poi lo schianto. L’Italia urtò il pack 100 km a nord delle Svalbard alle ore 10.33 GMT del 25 maggio 1928. Il campo della Kings Bay era distante appena due ore di volo.
Poi qualche cosa che dall’alto mi ruinava addosso mi fece cadere con la testa in giù. Istintivamente chiusi gli occhi, e con assoluta lucidità e freddezza pensai: “Tutto è finito”. Umberto Nobile
Disperazione
Nobile si trovò sdraiato sul ghiaccio fra i rottami, con intorno alcuni uomini del suo equipaggio. Nel momento in cui la cabina di comando si era schiantata al suolo, il dirigibile, a causa del notevole alleggerimento, risalì in cielo e scomparve in pochi istanti. Portò via sei membri dell’equipaggio, che al momento del disastro si trovavano all’interno dell’involucro e delle navicelle motrici laterali. Una considerevole quantità di equipaggiamento, attrezzature e provviste erano parimenti scomparse. Solo quelli che al momento dell’impatto erano all’interno della cabina, ora si trovavano in mezzo ai rottami.
I sopravvissuti all’incidente trascorsero del tempo a controllarsi vicendevolmente e ad osservare il pack circostante. Nobile pensò che la sua fine fosse questione di pochi minuti. L’esploratore artico aveva la sensazione che i suoi organi interni avessero subito danni irrecuperabili. Dunque, egli si ripeteva, sarebbe stato meglio così; in tal modo, non gli sarebbe toccato in sorte di vedere la disperazione e l’agonia dei suoi compagni.
L’anilina fuoriuscita dai serbatoi sferici, che l’equipaggio del dirigibile utilizzava per le misurazioni altimetriche, aveva disegnato un’ampia striscia rossa che si allungava per 50 metri, quasi come un animale ferito che si fosse lasciato dietro una traccia intrisa di sangue. Frantisek Behounek
Nel frattempo, Behounek scoprì nella neve un contenitore in tela con dentro una tenda e sacchi a pelo. Fu presa la decisione di usare quanto restava del colorante per tinteggiare in rosso la tenda, così da renderla di più facile individuazione. Furono ritrovate alcune cassette di provviste, cadute sul ghiaccio al momento dell’impatto. C’era del pemmicam (un concentrato di carne essiccata, cioccolata, grasso e burro). Altra preziosa scoperta fu quella di una piccola borsa, caduta fuori dal dirigibile, che conteneva l’articolo più importante di tutti — un revolver Colt e una scatola con cento cartucce. Cinque giorni dopo, Malmgren l’avrebbe usata per abbattere un orso polare, accrescendo considerevolmente la riserva di cibo.
Il radiotelegrafista Giuseppe Biagi era sopravvissuto e la sua trasmittente era rimasta intatta. Questo dava qualche speranza, perché la nave appoggio dell’Italia, la “Città di Milano”, era di guardia in mare durante tutti i viaggi del dirigibile. L’altro telegrafista dell’Italia, Ettore Pedretti, avrebbe ricevuto per primo la chiamata di soccorso dei naufraghi. Pedretti effettivamente udì una parte del messaggio quattro giorni dopo l’incidente, ma, per qualche ragione, lo interpretò come segnale proveniente da una stazione radio a Mogadiscio, capitale della Somalia, in Africa, all’epoca colonia Italiana.
S.O.S.-Italia-Nobile. Caduti sui ghiacci a 81°14' di latitudine N e 25° di longitudine E. Vi sono due feriti alle gambe. Impossibile muoversi per mancanza di slitte. Giuseppe Biagi
Biagi continuava a trasmettere chiedendo soccorsi, ma senza alcun risultato. Frattanto, le batterie erano sul punto di esaurirsi, insieme all’ottimismo di quelli che erano sopravvissuti alla caduta del dirigibile. Il giorno in cui Pedretti aveva ricevuto, ma non era riuscito a verificare, la chiamata di SOS dell’Italia, gli esploratori, demoralizzati, avevano avuto una discussione. Il giorno successivo, tre di loro, Malmgren, Mariano e Zappi si offrirono volontari per mettersi in marcia alla ricerca di assistenza. In tre settimane, speravano, sarebbe stato possibile raggiungere l’estremità settentrionale di Spitsbergen, dove erano molto più alte le possibilità di incontrare una grande nave.
Gli altri erano scettici sull’idea di dividersi in gruppi. Cecioni era convinto che Malmgren, Mariano e Zappi non sarebbero riusciti a resistere a nemmeno un giorno di marcia sui ghiacci e sarebbero certamente tornati indietro. “Ci vediamo domani sera”, ripeteva. In un primo tempo, Nobile era contrario all’idea di dividere il gruppo, ma Malmgren, esperto esploratore artico, aveva proposto il piano. Nobile pensò che l’uomo sapesse cosa stava dicendo e li lasciò andare.
31 maggio: tre chiazze nere sono rimaste visibili per l’intera giornata, riducendosi gradualmente di dimensione man mano che si allontanavano lentamente verso occidente. Frantisek Behounek
Il soccorso
Il 3 giugno 1928, un giovane guidatore di trattori e proiezionista di cinema che viveva in un minuscolo villaggio russo, Nikolai Schmidt (appassionato di trasmissioni radio a onde corte nel tempo libero), stava passando la serata seduto alla ricetrasmittente che si era costruito da solo. Esplorava le varie frequenze a onde corte. Sapeva bene che Nobile si trovava in Artide, ma la notizia che la spedizione fosse dispersa non aveva ancora raggiunto Voznesenye-Vokhma, il suo villaggio nelle fitte foreste presso Kostroma. In quel luogo remoto i giornali arrivavano sempre con una settimana di ritardo. Appena ebbe ricevuto il messaggio di SOS, Schmidt capì che era successo qualcosa di grave. Il giorno dopo prese in prestito un po’ di denaro da un vicino e mandò un telegramma a Mosca, alla Società dei Radioamatori Sovietici. Il messaggio fu inoltrato al Sovnarkom (il Consiglio dei Commissari del Popolo, come era chiamato all’epoca il Consiglio dei Ministri Sovietico). Quest’ultimo ne informò il governo italiano.
Nel frattempo, qualcuno in Norvegia aveva cominciato a provare apprensione per la mancanza di notizie dall’Italia e aveva intuito che doveva essere capitata una sciagura. Quel qualcuno era Roald Amundsen. Non appena ebbe ricevuto conferma, Amundsen prese la decisione di organizzare rapidamente un’operazione di ricerca e soccorso. Durante la spedizione dell’Italia in Norvegia si trovavano, ovviamente, molti giornalisti italiani. Amundsen fu intervistato da uno di questi, Davide Giudici del Corriere della Sera, presentando il suo pensiero sulla vita e sulla morte:
Oh, se solo sapesse quale splendore sia trovarsi lì, alle latitudini più estreme! È lì che desidero morire. Che la morte possa mostrarsi galante con me, e cogliermi nel mentre di qualche gloriosa impresa. Che possa essere rapida, e dolce. Roald Amundsen
Qualunque cosa avesse oscurato i suoi rapporti col Generale Nobile, aggiunse Amundsen, doveva considerarsi acqua passata. Egli non si sarebbe fermato nemmeno al pensiero che Bess Magids, una donna statunitense con la quale si era fidanzato e che aveva infine accettato di divenire sua moglie, era in viaggio per la Norvegia per il loro matrimonio, che non si sarebbe mai celebrato.
Perché Amundsen, non più nel fiore della gioventù (all’epoca aveva 56 anni), si lanciò alla ricerca di quello che era stato un rivale? Provava rimorso per il fato della spedizione di Robert Scott, che aveva sconfitto nella competizione per il Polo Sud, o per i suoi compagni che avevano perso la vita in precedenti spedizioni? O forse era preso dal panico al pensiero di sistemarsi e iniziare una nuova vita familiare? O magari era solo còlto dall’inestinguibile sete del trionfo riservato all’eroe?
Qualunque cosa fosse, Amundsen non fu l’unico a rendersi conto che l’Italia era in difficoltà. I governi di Italia, Norvegia, Svezia e dell’Unione Sovietica preparavano loro spedizioni di ricerca e soccorso.
25–27 Maggio
Le ultime notizie dell’Italia risalivano al 25 maggio. Il 27, la Città di Milano partì dalla Kings Bay e fece rotta verso le coste settentrionali di Spitsbergen; le condizioni estremamente avverse del ghiaccio, tuttavia, rallentarono sensibilmente il movimento della nave.
Quello stesso giorno il governo italiano prese a nolo due baleniere norvegesi — la Braganza e la Hobby — con a bordo i due aviatori Hjalmar Riiser-Larsen e Finn Lutzow-Holm (per inciso, Larsen aveva accompagnato Nobile e Amundsen sul Norge). Molto presto fu chiaro che le normali imbarcazioni erano di poco o nessun aiuto. Solo un potente rompighiaccio avrebbe potuto portare a termine la missione.
Nel frattempo, il lastrone di ghiaccio che trasportava la Tenda Rossa andava alla deriva verso sud.
28 Maggio — 2 Giugno
Molti paesi passarono all’azione per organizzare spedizioni alla ricerca dell’Italia. “Norvegesi, Italiani, Svedesi e Francesi provarono una sorta di nobile rivalità nella loro intenzione di essere i primi ad aiutare coloro che si trovavano in difficoltà, così ciascuna spedizione preferì agire indipendentemente dalle altre, ciascuna prendendo rischi per conto proprio”, avrebbe scritto Nobile, con estrema delicatezza, ricordando questa competizione alquanto inopportuna.
L’Unione Sovietica non esitò a partecipare a questo sforzo di ricerca e soccorso. Il 29 maggio, il governo stabilì un’apposita commissione preposta ad assistere nella ricerca dell’equipaggio dell’Italia. Il Comitato contava in larga misura sulle risorse e le infrastrutture della Società Volontaria per la Cooperazione con l’Esercito, l’Aviazione e la Marina, inizialmente chiamata OSOAVIAKHIM. Sulla base delle indicazioni del direttore dell’Istituto per Ricerche e gli Studi sul Nord, l’esperto esploratore polare Rudolf Samoilovich, fu presa la decisione di inviare in missione due rompighiaccio — il Malygin e il Sedov — con a bordo aerei da ricognizione.
3–7 Giugno
Il 3 giugno, il radioamatore nel villaggio di Voznesenye-Vokhma ricevette la chiamata di soccorso dell’Italia. La notizia fece il giro del mondo in pochi giorni. Il 7 giugno arrivò su tutti i giornali, accompagnata da grande commozione. Le corrispondenze giornalistiche da tutto il mondo si affollarono nell’etere causando pericolose interferenze, che non contribuirono affatto a semplificare le ricerche. Non fu creato alcun centro di coordinamento per la gestione delle operazioni.
L’Unione Sovietica procedeva a grandi passi nella preparazione della sua spedizione di soccorso. Quando fu chiaro che le navi avrebbero dovuto spingersi fino alle coste nord-occidentali di Spitsbergen, area congestionata da spessi banchi di ghiaccio, il Sedov fu rimpiazzato dal più potente rompighiaccio sovietico del tempo — il Krassin. Rudolf Samoilovich si offrì di guidare egli stesso l’operazione.
Nel frattempo, la Braganza e la Hobby cercavano di esplorare l’area procedendo per tentativi.
8–14 Giugno
L’8 giugno, la Città di Milano finalmente ricevette una chiamata di soccorso dai sopravvissuti del dirigibile. La Braganza tornò indietro alla Kings Bay per acquisire istruzioni dettagliate, mentre la Hobby iniziò a muoversi nella direzione opposta alla ricerca del gruppo diretto da Malmgren — i tre che avevano lasciato la Tenda Rossa in cerca di aiuto.
Il 12 giugno, il primo gruppo sovietico a bordo del rompighiaccio Malygin lasciò Arcangelo. Il 14 giugno prese a bordo l’aviatore Babushkin e fece rotta verso Hopen (Hope Island) — l’isola più a sud-est delle Spitzbergen.
Il 13 giugno, la Quest, una baleniera presa a nolo dal governo svedese, partì da Tromsø con a bordo aviatori. Uno di loro, Einar Lundborg, avrebbe avuto un ruolo importante nelle operazioni di soccorso.
15–17 Giugno
Il 15 giugno, il rompighiaccio Krassin salpò dal porto di Leningrado: la spedizione, al comando di Rudolf Samoilovich, del Capitano Karl Eggi e del pilota Boris Chuhnovsky procedette lungo le coste della Scandinavia, avendo come destinazione ultima Capo Leigh-Smith — l’estremità nord-orientale delle Svalbard. Esploratori polari di grande esperienza, compreso il leggendario Fridtjof Nansen, puntarono inequivocabilmente le loro speranze sul successo del Krassin.
Il 17 giugno, il Malygin entrò nella zona dei ghiacci. Intanto, Riiser-Larsen e Lutzow-Holm continuavano a volare su sconfinati banchi di ghiaccio. Più tardi risultò che Nobile li aveva visti, ma loro non avevano scorto la tenda. Apparentemente, gli aerei erano arrivati ad appena un paio di chilometri dal campo.
Il contratto della Hobby col governo italiano stava scadendo ed entrambi gli aviatori norvegesi si imbarcarono sulla Braganza.
18–21 Giugno
Per tutta la giornata del 18, gli Italiani e gli Svedesi condussero tentativi infruttuosi di giungere in volo alle Svalbard. Il tempo peggiorava, a causa di una bassa pressione che si formatasi sull’arcipelago. Ciò tuttavia non bastò a fermare Amundsen. Egli si imbarcò su un idrovolante costruito ed equipaggiato dai Francesi, il Latham 47, decollando alla volta delle Svalbard. Il Latham 47 era inadatto alle missioni in Artico, perché era incapace di atterrare su superfici solide e, se il mare fosse stato mosso, anche sull’acqua.
L’ultimo contatto radio col velivolo si ebbe 2 ore e 45 minuti dopo la partenza. A quell’ora, esso doveva trovarsi approssimativamente a metà del percorso verso le Svalbard. Tre giorni dopo, fu chiaro che anche Amundsen era in pericolo. La Norvegia chiese all’Unione Sovietica di prendere parte alle operazioni di ricerca per il suo eroe nazionale.
Altri tentativi di ricerca ebbero alla fine successo. Il 20 giugno, l’aviatore Umberto Maddalena individuò la Tenda Rossa e lanciò ai naufraghi viveri di conforto.
22–28 Giugno
La Tenda Rossa era stata finalmente individuata, ma non vi era alcun idrovolante in grado di atterrare nei suoi pressi. Il 22–23 giugno, Maddalena e i colleghi svedesi aviolanciarono ancora provviste, medicinali, armi, batterie e una piccola imbarcazione.
Il 24 giugno, lo svedese Einar Lundborg riuscì ad atterrare sul ghiaccio. Per questo volo poteva riportare indietro solo uno dei naufraghi. Nobile chiese che fosse prelevato Cecioni che, come lui, aveva una gamba rotta. Cecioni tuttavia era troppo pesante per l’aereo di Lundborg. Il pilota riuscì a convincere Nobile a partire dalla Tenda Rossa per primo. Con la grave ferita alla gamba, il comandante della spedizione era più che altro di peso per i suoi compagni. I contemporanei di Nobile, tuttavia, non gli avrebbero perdonato di aver acconsentito. Il comandante sarebbe dovuto essere l’ultimo a partire; ma la sua nave, del resto, era ormai perduta da tempo. La decisione di Nobile di portare con sé Titina avrebbe suscitato ancora più astio nei suoi riguardi, poiché diede l’impressione che tenesse più a mettere in salvo la sua mascotte che i suoi compagni.
Nobile accettò di partire solo ad una condizione: che Lundborg effettuasse subito un altro volo per recuperare un altro membro della spedizione. Lundborg mantenne la promessa e tornò subito indietro. Tuttavia, durante la manovra di atterraggio, il suo Fokker cappottò nella neve. Lo svedese, che aveva appena soccorso Nobile, si trovò a fare a cambio di posto con lui, divenendo un altro naufrago della Tenda Rossa.
Frattanto, il Krassin aveva raggiunto l’Oceano Artico.
29 Giugno — 11 Luglio
Maltempo e tempeste magnetiche ostacolavano le comunicazioni radio e rallentarono i soccorsi per oltre una settimana. Il Krassin lottava contro ghiacci di grande spessore e subì alcuni problemi al timone. Gli aviatori effettuavano ricognizioni dall’alto per identificare la rotta più praticabile.
Boris Chukhnovsky decollò il 10 luglio e individuò immediatamente il gruppo Malmgren, che aveva lasciato il campo alla ricerca di aiuto il quinto giorno dopo l’incidente. Era da quel momento che non si avevano notizie dei tre. Le coordinate del Gruppo furono trasmesse via radio al Krassin e il rompighiaccio iniziò a dirigersi verso quella posizione.
Malmgren, però, non era più coi suoi compagni.
7:00 | 12 Luglio
Il Krassin prese a bordo Filippo Zappi e Adalberto Mariano, che avevano lasciato il campo insieme a Finn Malmgren. Il contrasto fra i due suscitò perplessità: Zappi appariva in buona forma, non appariva denutrito e indossava molti strati di vestiti; Mariano invece era stremato e insufficientemente coperto: i suoi piedi apparivano tanto gravemente congelati che uno di essi, dovette essere amputato non appena egli fu a bordo del rompighiaccio.
La loro guida, Finn Malmgren, dissero, era morto un mese prima. Secondo le loro dichiarazioni, aveva chiesto di essere lasciato dov’era, con un braccio rotto e un piede congelato, e di poter morire nel ghiaccio. Dissero che aveva lasciato i suoi vestiti pesanti agli Italiani. Il suo ultimo desiderio era stato che i compagni preparassero per lui una tomba nel ghiaccio con un’ascia.
Malmgren avrebbe detto loro: “Mi metterò a giacere in questa fossa per morire. Quando le onde del mare riempiranno d’acqua la mia tomba di ghiaccio, io resterò congelato in essa fino a che una nave non mi troverà in questa bara trasparente”. Zappi avrebbe cercato di fare una battuta per sdrammatizzare la loro condizione: “Staresti qui come un frutto congelato”. Malmgren non avrebbe apprezzato lo scherzo e, con impazienza, avrebbe mosso la mano in segno di saluto.
12:00 | 12 Luglio
Il Krassin passò in prossimità di Gennaro Sora e dell’olandese Sjef van Dongen, due uomini di una delle molte spedizioni che erano andate in soccorso di Nobile, che erano sbarcati dalla Braganza il 18 giugno. Il terzo membro del loro gruppo — Ludvig Varming, un danese — aveva dovuto lasciarli poco dopo la partenza. Aveva sviluppato una oftalmia da ghiacci, non era più stato in grado di guidare la slitta trainata da cani ed era stato costretto a tornare indietro. I due uomini erano a corto di provviste e il viaggio era stato molto difficile per i cani. Cinque su nove erano morti, uno dopo l’altro. La carne di cane aveva permesso a Sora e Van Dongen di sopravvivere fino al momento in cui erano stati soccorsi: “Solo due cani erano rimasti vivi. Stavamo finendo la carne del terzo; il corpo del quarto era stato messo da parte”.
Si decise di recuperare i due uomini durante la tratta di ritorno, dopo aver salvato il “gruppo Viglieri”. Questo nome iniziò ad essere usato in relazione a quelli che erano rimasti nella Tenda Rossa dopo l’evacuazione di Nobile. Tuttavia, alcuni aviatori svedesi recuperarono Sora e van Dongen lo stesso giorno. I due cani superstiti furono abbandonati al loro destino.
22:00 | 12 Luglio
La sera dello stesso giorno, il Krassin raggiunse gli ultimi cinque uomini della Tenda Rossa — Viglieri, Behounek, Biagi, Trojani e Cecioni. Al momento in cui era arrivato il rompighiaccio, il pack su cui si trovavano i naufraghi aveva iniziato a sciogliersi e a restringersi. Era stato necessario spostare più volte la tenda verso luoghi più asciutti.
Rudolf Samoilovich e altri 20 uomini del Krassin scesero sul ghiaccio per accogliere i naufraghi. L’operatore radio Biagi si alzò e richiuse il coperchio della stazione radio da campo con una frase teatrale: “È finita la commedia!”
Qualunque tentativo di Nobile e del Krassin di continuare la ricerca per i sei membri dell’equipaggio trascinati via dall’involucro dopo l’incidente fu impedito da Roma, dove i dispersi erano già stati dichiarati morti.
Non posso smettere di pensare alla sorte degli altri sei che si trovavano nell’involucro volato via. Riusciremo a riportarli alla vita? Rudolf Samoilovich
Le operazioni per il soccorso dei naufraghi dell’Italia era finita. Era durata poco meno di due mesi e aveva coinvolto sei paesi, 18 navi, 21 aerei e 1.500 uomini.
All’arrivo alla Kings Bay, tutti quelli che erano stati soccorsi furono trasferiti sulla Città di Milano. Il 22 luglio partirono verso casa. Il Krassin restò in Artide fino all’autunno, impegnato nelle ricerche di Roald Amundsen — vivo o morto che fosse — ma non trovò nulla. Fece ritorno a Leningrado il 5 ottobre, accolto da 250.000 cittadini.
La memoria
La scomparsa di Amundsen fu vissuta come una tragedia nazionale in Norvegia. I membri dell’equipaggio del Krassin ricordavano che mentre il rompighiaccio si muoveva lungo le coste della Norvegia, le popolazioni locali gridavano verso di loro: “Salvate il nostro Amundsen!” Finché, nelle prime ore del 1° settembre, un peschereccio chiamato Brodd recuperò un galleggiante del Latham 47. Di lì a poco fu ritrovato anche un serbatoio dell’aereo.
In patria, Nobile ricevette, dalle autorità un’accoglienza fredda. Fu accusato d’aver abbandonato i suoi uomini tra i ghiacci e, più in generale, di aver provocato il disastro. Il governo italiano lo marginalizzò, inducendolo alle dimissioni dai ranghi dell’Aeronautica. Un anno dopo, Nobile ricevette l’invito inatteso, da parte delle autorità sovietiche, di recarsi a dirigere un’industria sperimentale di costruzione per dirigibili. Accettò. Nobile arrivò in Unione Sovietica nella primavera del 1932 insieme ad un gruppo di tecnici, uno dei quali era stato membro del suo equipaggio sull’Italia, Felice Trojani.
Nei circa cinque anni che passò in Unione Sovietica, Nobile organizzò il progetto e la costruzione di tre dirigibili che per alcuni aspetti erano delle copie dell’Italia. Più tardi avrebbe descritto il periodo in Unione Sovietica come gli anni più belli della sua vita. Condusse uno stile di vita agiato e confortevole. Costruì un piccolo dirigibile per sé, col quale andare da casa al lavoro. Per quanto riguardava poi la sua mascotte, Titina, che aveva contratto lo scorbuto nell’Artide, la portò da un dentista. Secondo le fonti russe, girava voce che Titina avesse avuto impiantati denti d’oro e che la cosa fosse stata considerata divertente dai bambini del luogo. Si dice che fossero anche stati compiuti tentativi di rapire il cane dai denti d’oro. Tutto questo accadeva nella località detta Dirizhablestroi (letteralmente “Fabbrica per Dirigibili”), presso Mosca. Oggi l’area corrisponde alla cittadina di Dolgoprudny.
Nel 1936 Nobile tornò in Italia, mentre alcuni dei suoi uomini restarono in Unione Sovietica. Nei due anni successivi, alcuni di loro caddero vittime delle Grandi Purghe, la campagna di terrore che colpì molti protagonisti di questa storia. Uno su sette fra i membri dell’equipaggio del Krassin fu coinvolto nelle repressioni e il capo stesso della spedizione, Rudolf Samoilovich, venne fucilato. Stessa sorte toccò al radioamatore che aveva ricevuto la chiamata di soccorso dell’Italia, Nikolai Schmidt.
Con l’appoggio del Papa, Nobile si trasferì negli Stati Uniti iniziando una carriera come docente. Quando alla fine del 1941 fu dichiarata guerra fra Stati Uniti e Italia, Nobile decise — e ottenne, pur con difficoltà — di tornare in Italia, per seguire le sorti del suo paese. Dopo l’abbattimento del regime fascista e la conclusione del conflitto, Nobile fu reintegrato nel suo ruolo presso l’Aeronautica Militare.
Sarebbe vissuto abbastanza a lungo da vedersi ritratto sul grande schermo nel film italo-sovietico “La Tenda Rossa” (1969), basato sul romanzo omonimo dello scrittore Yuri Nagibin. La versione cinematografica della vicenda del 1928 vide riunito un cast eccezionale di stelle del cinema sovietico e di altri paesi: Peter Finch, Sean Connery, Eduard Martsevich, Nikita Mikhalkov, Donatas Banionis, Yuri Solomin, Boris Khmelnitsky, Yuri Vizbor e persino Claudia Cardinale, il cui personaggio non è veramente esistito.
Dopo l’uscita del film, Nobile sarebbe vissuto ancora per poco meno di un decennio. Morì il 30 luglio 1978 all’età di 93 anni, mezzo secolo dopo il suo ritorno dal viaggio che gli aveva arrecato lode e condanna.